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Libro di Micheletti sulla Bessa

 

 

pubblicazione di Miniere d'Oro(2003) web.tiscali.it/minieredoro(2004) www.minieredoro(2006 / 2023)

 

 

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Nel 1976 é uscito un libro molto interessante di Teresio Micheletti ("L'immensa miniera d'oro dei Salassi, Stabilimento Tipografico Bramante, Urbania - PS) il quale, dopo approfonditi ed appassionati studi riguardanti sia l'oro della Bessa sia la Serra d'Ivrea, descrive (a ragion veduta?) la propria convinzione sul fatto che al tempo dei Salassi fossero presenti nel territorio denominato "Bessa" immani "cantieri" adibiti, da detta popolazione, al lavaggio del materiale aurifero locale. Il libro é in pratica un imponente saggio di circa duecento pagine nelle quali accorate riflessioni dell'autore si alternano a riferimenti di notevoli documenti antichi, ma va precisato che, pur senza voler togliere nulla all'importanza del documento in questione o ai dovuti apprezzamenti per Micheletti, purtroppo nel testo presenziano anche alcune teorie e convinzioni (sue) ben poco probabili.

Qui a seguire riporto alcuni appunti che ho preso consultando il libro. 

 

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L'argomento in questione é dato dal fatto che moltissimo tempo fa (forse dal 2000 a.C., se non prima ancora) le popolazioni occupanti parte dell'Italia settentrionale avrebbero "lavato" parte del materiale costituente la cosiddetta "Serra d'Ivrea", enorme massa morenica risalente al periodo dello scioglimento dei ghiacci e formatasi, per capirci, all'incirca con lo stesso principio delle "punte" [def.] che si formano oggigiorno nei torrenti. La zona nella quale si svolsero i primi lavori e che, da reperti carboniosi sottoposti alla prova del "C 14" da parte del Prof. Mario Scarzella (M. Scarzella: L'oro della bessa e i Vittimuli) corrisponderebbero appunto alla data di cui sopra, sarebbero da Questi in tal modo localizzati nella valle del torrente Viona, a Nord di Mongrando. L'acqua utilizzata per tali imponenti lavaggi locali dell'oro [def.] proveniva dallo stesso vicinissimo Viona, il quale, alimentato da un bacino imbrifero estesissimo, poteva raggiungere portate molto notevoli e,forse, in un secondo tempo dal Lys con una canalizzazione di poche decine di chilometri (ricordiamo che Plinio parla di frequenti prelevamenti d'acqua da 100 miglia di distanza). Ma la stessa cosa non si può dire per quanto riguarda l'erosione nelle pendici di Magnano perché la sola acqua disponibile in detta località non sarebbe stata sufficiente: per questi ed altri  lavori più imponenti s'utilizzò, come scrisse anche Strabone, l'acqua della Dora, svuotandone l'alveo "appartenete a tutti", potendo così agire pure sulle pendici che dal torrente Olobbia salgono verso Magnano e che probabilmente costituirono i lavori più importanti in assoluto riguardanti la Bessa e la Serra d'Ivrea.

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Ora, se l'erosione lungo la valle del Viona può essere in parte attribuita all'azione delle acque del torrente (ma l'esistenza, in prossimità, delle pietraie ci conforta nella tesi che l'uomo vi ha fortemente contribuito), l'erosione nelle pendici di Magnano non può certo spiegarsi con l'azione dei pochi torrentelli con bacini imbriferi insignificanti che possono scendere dal «colmo» di Serra verso il torrente Olobbia.

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 Gli attuali studi dei profili geologici e geografici impostati su epoche differenti, nelle quali tra l'altro é inevitabile notare che la larghezza della Serra in tutta la zona di cui sopra si restringa dai 500 metri abituali a poche decine di metri e questo per una lunghezza di circa tre, ci permettono di ricavare la significativa differenza esistente (fra allora ed oggi) della posizione "in verticale" del letto, dovuta ad oltre duemila anni di scorrimento delle acque e soprattutto di constatare l'inesistenza primordiale sia delle ciclopiche discariche attuali, sia ovviamente della fonte Canei che sgorga attualmente dalle discariche stesse. Nelle carte geologiche si nota inoltre che la forma, indicata come morena di Mindel, della Serra, presenta un innaturale golfo con centro a valle della località di Magnano, contro cui s'appoggia il semiellisse della Bessa, forme ambientali derivate dalle canalizzazioni e deviazioni acquifere per i "lavaggi".

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  La procedura basilare per sviluppare questi colossali cantieri, pare costituisse nell'imbrigliare molta acqua in determinati bacini per poi farla defluire violentemente verso e contro il fianco della serra morenica di modo che la porzione interessata se ne distaccasse per venir trascinata dal proseguir della corrente : i massi di maggiori dimensioni sarebbero stati poi i primi a fermarsi, mentre il "fino" (e con esso l'Oro) proseguiva oltre. Ben presto si sarebbe formata più a valle una sostanziosa barriera costituita dal pietrame di maggior volume e contro la quale acqua e nuovo

Bessa, schizzo schematico metodi di lavaggio per suo il oro.

materiale sarebbero andati a sbattere ma in detta barriera ci si curava di tenere continuamente e "manualmente" efficienti corridoi o strisce di sfogo nelle quali acqua e "fino" si convogliavano. Il terreno di questi spazi "liberi" era forse rivestito di Erica, la quale, oltre a costituire con i suoi grovigli una efficace trappola per le scagliette d'Oro, é una pianta che emette essenze idrofughe [def.]. La stessa erica, o altre ramaglie che fossero, venivano periodicamente essiccati e bruciati per poi recuperare il metallo dalla cenere. Può anche darsi che, con lo stesso scopo, siano state usate anche pelli di animali oppure gradini trasversali scavati nel terreno(come le canalette odierne) : entrambe le tecniche erano già a quei tempi conosciute.  In seguito col passare del tempo le canalizzazioni si ingombrarono sempre più di materiale, diventando più esigue ed infine ostruendosi completamente per risultare così inutilizzabili. Fino a qui, penso che quanto detto possa apparire abbastanza razionale ed accettabile al lettore. Detto questo, recenti ricerche hanno individuato i resti di innumerevoli pozzi (Arrugie) situati a monte delle grandi e tutt'ora ben visibili morene le quali ultime "testimonierebbero" appunto oggigiorno quanto descritto fin'ora. Al fondo di ognuno di questi  pozzi é inoltre sempre stata  localizzata una galleria, ognuna di queste immancabilmente con direzione NordEst-SudOvest, indirizzata ad oltrepassar la barriera di pietrame "grosso" per così raggiunger lo spazio immediatamente più a valle. Detti pozzi e loro relativi cunicoli furono costruiti con solide murature e presentano ancor oggi possibilità che a quei tempi siano state utilizzate anche le acque provenienti dalla Val d'Aosta tramite un canale che dipartisse dai pressi di Morgex. L'argomento in questione é ampio, interessante e fu descritto efficacemente da Plinio Il Vecchio quasi duemila anni or sono (vedi tasti approfondimenti a lato pagina), ma già Aristotele, sommo filosofo greco considerato nel tempo sommo e  indiscusso maestro di tutto lo scibile umano, ne aveva parlato a sua volta qualche secolo ancor prima di Plinio. Egli (Aristotele) scrisse infatti dei testi al riguardo dai quali traspare inoltre chiaramente che l'incanalamento e deflusso acqueo riguardò proprio la Dora, realizzazione incredibile la cui fama giunse quindi sin nella sua Grecia.   L'immagine descrive un'arrugia, sinonimo come già detto di galleria scavata in materiale morenico. Prima dello scavo della fronte di avanzamento veniva posto in opera, in un solco a ferro di cavallo, uno "scudo di pietroni forzati fra loro e probabilmente cementati con in impasto di sabbia e trementina.

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Tutte le informazioni riguardanti questa pagina, sono state apprese dal libro di Teresio Micheletti "L'immensa miniera d'oro dei Salassi" (Stabilimento Tipogr. Bramante, Urbania.

 

Per altre informazioni su questo argomento, oltre ai tasti qui a destra, puoi vedere la pagina Lavare senza canaletta e soprattutto i suoi approfondimenti. Inoltre, c'è un'altra località che, seppur non così in "vasta scala", subì lo stesso tipo di attenzioni e sfruttamenti auriferi sopra descritti: la Cava dell'Oro, a Varallo Pombia (NO).

 

 

Per quanto riguarda invece i "Vittimuli", vedere questa nota fondamentale.

 

 

 

 

NOTE STORICHE DA DOCUMENTI MINERARI ANTICHI.  Siamo nell'anno 1659: Pietro Borgio, di Andorno, comunica di aver trovato in località Riva di Mozzo, presso il cantone Boffalo, una miniera che potrebbe contenere oro e altri metalli e chiede di poter fare scavi di prova: la cosa gli viene accordata per un mese a condizione che consegni i campioni alla Camera per farne il saggio. 1750/1752: nelle Statistiche di Cuneo di quegli anni si accenna che ad Andorno le regie finanze fecero coltivare una miniera che si dice d'oro, ma che non se ne sa nulla. 1782: una comunicazione dell'Intendente di Biella menziona l'esistenza di una "fontana" (sorgente ?) che é assai ricca di pagliette d'oro, a pié d'un monte, presso Oropa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Approfondimenti di questa pagina

 

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