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Intervista a Giovanni Aina

 

 

pubblicazione di Miniere d'Oro(2003) web.tiscali.it/minieredoro(2004) www.minieredoro(2006 / 2023)

 

 

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Questa è la parte sostanziale di un' intervista che venne fatta a Giovanni Aina, persona allora molto nota  e di primissimo piano nell'industria del rame. (vedi l'articolo per esteso con altre sue foto).

Realizzata con Gabriele Cazzulani

 

 

Egli s'interessò intorno al  1965 all'eventualità di attivarsi per lo "scegliere e poi sfruttare" di persona (con relativa manodopera , ovviamente) alcuni anditi auriferi di questo distretto minerario. PS. Se vuoi puoi vedere per esteso 

DOM: Ho chiesto ad Aina per quale ragione un’idea così semplice fosse venuta a lui, e non ad una grande industria, o agli stessi ricercatori che si sono succeduti nei secoli. Mi è parso imbarazzato, come se stentasse ad attribuirsi qualche merito, e poi mi ha detto:

RISP: “Vede, non è così facile come sembra: intanto bisogna correre dei rischi, perché non è possibile determinare prima quale sarà il costo complessivo di un ciclo completo di estrazione e lavorazione. Poi bisogna avere le macchine: ogni metallo, si può dire, esige un tipo di macchina diverso, e non ne esistono in commercio. Bisogna fabbricarsele da sé (vedine un esempio, nota di Z.G.) , studiando ed adattando: per questo, mio figlio è veramente in gamba. Pensa giorno e notte a come può superare questa o quella difficoltà, e realizza la macchina apposta. Infine bisogna avere le concessioni e dimostrare che si intende fare un lavoro serio: tutte queste condizioni non si trovano quasi mai riunite in una sola persona, e questa è la spiegazione.

 

Un’ora in salita.

 

Siamo andati anche a trovare l’oro, sopra i laghi artificiali della Lavagnina, in una delle regioni più deserte del Piemonte: monti brulli, aguzzi, percorsi da un vento teso che sale a impetuose folate dal mare di Liguria per abbattersi nella vallata dell’Orba, come rovinando per una scabra discesa. Ai laghi bisogna lasciare la macchina, traversare la cresta di una diga potente e rassegnarsi ad imboccare un erto tratturo: dopo un’ora di salita ansimante, si arriva alla zona delle gallerie, scure ed umide nel fianco della montagna. Ancora mezz’ora e siamo sotto la vetta: qui sotto i piedi c’è l’oro, c’è anche Berto Ferrando, una figura di vecchio minatore balzato fuori di getto dalle pagine di “Radiosa aurora” di J. London (se vuoi vedi un racconto di questo famoso autore di romanzi).

Ha settant’anni, diritto, screpolato e sano come un fuso vecchio. Ride volentieri, e quando lo fa, compare una doppia fila di denti che pochi quarantenni possono vantare. Fa un freddo da cime alte, ma Berto indossa una semplice canottiera, una camicia a scacchi di colore incerto, una giacchetta di tela militare: è venuto verso di noi salendo dal basso come un camoscio, senza alcuno sforzo.

“Oro, cari signori – risponde – qui ce n’è quanto si vuole, ma non lo sanno cercare. Perché l’oro è come una strada: ci si cammina sopra e dapprincipio si trovano poche case, poi sempre di più, e poi la città ricca. Così è l’oro, bisogna non scoraggiarsi: io conosco gallerie che sono arrivate a cinque, quattro, magari ad un solo metro dal punto ricco, e invece si sono fermate li”.

 

Il filone è qui sotto  

 

DOM: “Allora, perché non lo cerca e non lo trova lei, questo oro?”.

RISP: Scrolla le spalle:”Io sono povero, ci vuol materiali e denaro, pagare i permessi: e poi salta fuori l’agente delle tasse. L’anno scorso un giornale scrisse che un montanaro aveva indicato dove si trovava un filone: e venne un professore, su dalla città, a gridare infuriato che era proibito dare indicazioni e che ci avrebbe fatto arrestare tutti quanti”.

 

DOM: “In ogni modo lei sa dove si trova, l’oro?”

RISP: Fa un gesto ampio: “Vede, il filone comincia qui sotto, prosegue attraverso la montagna, gira in quella valle, e poi va di là verso la Liguria: ma è come un ramo d’albero, con tanti rametti secondari, tanti filoncini che potrebbero dare bene”.

 

Ci accompagna alle gallerie, buchi neri nel fianco della montagna, non più alte all’imbocco delle spalle di un uomo. E quasi tutte di difficile accesso: l’immaginazione crea subito in quella solitudine le teorie degli schiavi che dovevano avvicendarsi come formiche li dentro, per portare alla luce le rocce gialle più ricche. Poi andiamo alla sua baita a bere la limpida acqua di montagna: fa uno strano effetto sapere che ogni bicchiere di quel liquido purissimo e freddo contiene un milligrammo d’oro. Ma Berto lo sa, mi racconta dei suoi amici montanari che costruivano le loro baite accanto ad uno dei mille ruscelletti che scendono dal monte: ci mettevano dentro una strana scaletta di legno (vedi quelle solitamente in uso per cercare oro, nota di Z.G.) a gradini rientranti, ed ogni tanto ritiravano la minuta polverina d’oro che l’acqua vi lasciava. Ogni settimana o due ne cavavano un bottiglino, e allora scendevano ad Ovada a venderlo. “Ma ora – scuote la testa Berto – qui non c’è più nessuno. E io invece vorrei che tornassero, come ai bei tempi. Perché qui l’oro c’è, basta trovarlo”.

 

Guardo il monte: a osservarlo bene, ora che l’occhio si è adattato, si nota qualcosa di innaturale, come se le linee dei dossi fossero turbate, sconvolte. Berto me lo spiega: secondo lui qui, “al tempo degli antichi” sorgeva un'altra cresta, un altro monte. Ma se lo sono portato via tutto nei secoli, sminuzzandolo, triturandolo, frugandolo alla ricerca dell’oro: l’erba è ricresciuta in mezzo alle solitarie piante abbarbicate alle pareti della montagna, ed ogni cosa, in questo alto silenzio, sembra immemore e nuova. Eppure, dacché siamo quassù, in qualche modo siamo cambiati: la magia sottile dell’oro ha preso anche noi, guardiamo attentamente per terra, scendendo caso non affiorasse una gialla, lucente pepita.

                                                                  L'articolo è di Franco Bandini

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NOTA: ALCUNE ANALISI, NEL DETTAGLIO, eseguite in epoca PIù RECENTE DAI "laboratori Noranda Exp. Londra", hanno dato i seguenti risultati SUI tenorI AURIFERI DI QUESTO DISTRETTO:

 

Per dieci campioni di quarzo raccolti da filoni affioranti tra il Rio Moncalero e il Mond'Ovile = da 2 a 20 grammi per tonn.

 

Per un campione di quarzo raccolto all'interno della galleria posta sulla sinistra del Rio Moncalero, ovvero a sud dei laghi di Lavagnina = 69,3 grammi per tonnellata.

 

Per due campioni di quarzo raccolti all'interno della galleria posta a nord-est di C. Ferrere Sup. = 243 e 129,4 grammi per tonnellata.

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