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Toscana, ambiente e inquinamento: il cattivo esempio datoci dalla ENI (e altro).

 

In Toscana, nell’incantevole paesaggio che piace a tutto il mondo, c'è una delle tante aree ad alto rischio ambientale. Sono proprio le Colline Metallifere. Per anni queste miniere sono state sfruttate e le società si sono giustamente arricchite. Quando chiudi una miniera, però, la legge dice che devi bonificare; qui invece se ne sono andati e buonanotte.
Toscana, Colline Metallifere. Maremma toscana, l’angolo dei sogni sta proprio qui. Qui dove c’è anche il famoso mulino delle merendine. Anche il proprietario di questo agriturismo aveva fatto come i protagonisti della pubblicità, cioè era scappato da Milano per venire in questo paradiso terrestre e fuggire dall’inquinamento; e poi dopo un po’ di tempo si è ritrovato con l’arsenico davanti casa.
Proprio come nelle merendine del Mulino bianco, l’esule milanese nel suo paradiso terrestre ci ha trovato una sorpresina. È il fiume che gli passa accanto, il Merse. Era l’aprile del 200l, e a nutrire questa sorpresa a base di arsenico, cadmio e rame erano le acque in uscita dalla più grande e moderna miniera della zona, la miniera di pirite di Campiano, l’ultima a chiudere i battenti nel 1996. Un disastro annunciato.
I minatori, infatti, sapevano già che prima o poi tutto questo doveva uscire allo scoperto e avevano anche previsto che avesse un livello di inquinamento non indifferente. Perché in miniera c’è rimasto di tutto un po’: oli, trasformatori, macchine, cavi elettrici, ogni ben di Dio, e in più c’è stata portata anche roba che non si sa neanche di preciso da dove.
Materiale che dava adito a parecchi dubbi. Come le 70.000 tonnellate di scarti industriali derivati dalla produzione di acido solforico di questo impianto del casone di Scarlino, e stoccati in fondo alla miniera negli ultimi anni di attività. Il nome tecnico è "ceneri di pirite" che, a causa dell’alto contenuto di arsenico, sono rifiuti tossici nocivi, e come tali andrebbero trattati. Andrebbero!
La collina davanti al Merse è un cumulo di ceneri di pirite, depositate fin dagli anni ’60 su quello che era stato il padule di Scarlino. Assolutamente non è isolato; anzi qui è sprofondato di 5 metri nella falda freatica superficiale, e ora sta inquinando le falde idriche della zona. Negli anni ’80, dopo la prima legge sui rifiuti, vengono emesse cinque delibere dalla giunta regionale toscana che la definisce sempre e ripetutamente come discarica provvisoria. Cioè anche in questo caso la legge viene aggirata a suon di delibere sulla provvisorietà.
Per ben 20 anni, invece che portare questa monnezza in una discarica adeguata come tra l’altro prevedeva un decreto ministeriale del ’92, si è ben pensato di distribuirla tra i vari agricoltori della zona per farci i massicciati stradali. Strade!

Almeno sarebbe stato opportuno fare in modo che le "ceneri di pirite" non fossero depositate mai a contatto con l’acqua, ma quando si chiude una miniera, si chiudono anche le pompe di drenaggio che la tenevano asciutta, quindi tutto si allaga. Tutti lo sanno, e nessuno fa niente.
Non sono servite a niente le lettere e i reclami fatti dagli ambientalisti alle autorità competenti a metà degli anni novanta. Non hanno mai risposto. Nemmeno nel 2001, quando ormai dalla miniera uscivano 20 litri al secondo di acqua rosso inferno. L’Arpat ha sempre certificato che le acque in uscita da questa miniera sono "non preoccupanti".
Dicevano che l’acqua era idonea per la vita dei pesci salmonicoli e ciprinicoli. Gli ambientalisti si sono subito mobilitati, e hanno prelevato campioni con dei chimici analisti di un laboratorio privato. Ed ecco i risultati: 160 microgrammi litro di arsenico contro i 10 previsti dalla legge. Si sono dunque sbagliati, o hanno voluto sbagliare?
E gli errori si pagano: 100mila euro al mese costa depurare le acque in uscita dalla miniera. E a tirar fuori questi quattrini fino ad oggi non sono stati i responsabili dell’inquinamento, ma la Regione. Che però l'ha presa con filosofia, tant’è che anche quando è stata costretta a portare l’Eni in tribunale per farsi risarcire questa montagna di quattrini, ha sempre metodicamente evitato di tirar fuori le prove più evidenti.
L’aspetto incredibile di tutto questo è che lo studio, a cui la Regione Toscana ha affidato il progetto di bonifica, si basava su questi due studi: uno del consorzio Pisa ricerche dell’Enea di Pisa, e un altro dell’università de L’Aquila: entrambi commissionati da Eni. Il paradosso: la Regione Toscana che si oppone all’Eni per far pagare le sue malefatte utilizza in suo favore ricerche commissionate dall’Eni stessa? Veramente incredibile.
Gli ambientalisti quindi cercarono di scovare le prove per inchiodare l’Eni alle sue responsabilità. Lo fecero grazie allo studio del professor Francesco Riccobono, titolare del dipartimento di geochimica dell’università di Siena. Uno dei pochi a cui l’Eni non aveva commissionato niente.
Uno studio di grande valore scientifico pubblicizzato su iniziativa del Rotary club. Quando fu presentato a Siena, Riccobono si presentò in quella sala vestito con un maglione e con i jeans. Era l’unico. Non era più l’ambientalista o il comitato dei minatori; era finalmente il mondo accademico che si muoveva complessivamente a Siena. Dopo altri due anni di lotte e dopo l’arrivo di un nuovo assessore regionale all’ambiente, finalmente l’accusa cambiò strategia. E questo convinse gli avvocati dell’Eni a consigliare ai loro dirigenti di arrivare a una mediazione, a una soluzione concordata.

E cosi oggi quel rosso infernale che infestava tutto è acqua passata. Ora il fiume Merse è abbastanza pulito. Il depuratore funziona. E il bello è che una volta tanto a pagare non saranno i cittadini. Sarà la società Syndial a dover pagare varie spese

di bonifica del fiume Merse inquinato dagli scarti industriali. La società che fa capo al gruppo Eni pagherà la bonifica del Merse e della miniera - 15 milioni di euro - e rimborserà alla Regione le spese sostenute in precedenza.
Poi ci sono le responsabilità penali che l’Eni deve ancora pagare. Una delle storie per far capire meglio come vanno le cose in Italia. Specialmente nel mondo delle estrazioni dei metalli. Per questo è sempre meglio stare in guardia. Quando i piccoli lottano contro i grandi devono spendersi molto, ma è anche l’unico modo per impedire ai grandi di farla franca.
L’attività mineraria (sia sotterranea che a cielo aperto) ha segnato, in maniera incisiva, molta parte della storia dell’Alta Val di Merse, interessando sia l’aspetto economico che sociale, sia culturale che ambientale.
In questo senso, rappresentano casi significativi le miniere del Merse ieri e di Campiano oggi, la quale ha cessato la coltivazione del filone di pirite nel 1994, la cui proprietà è della ex Società Mineraria Campiano (Gruppo Eni), che ha dato origine all’inquinamento ambientale oggi in atto, conseguenza della non corretta applicazione delle azioni di bonifica e ripristino ambientale, che ha provocato
l’emergenza da anni in atto per le acque che fuoriescono dalla miniera di Campiano e confluiscono, attraverso il canale di Ribudelli, nel fiume Merse, causandone il suo inquinamento.
Ciò ha messo a forte rischio la vita fluviale (da una ricerca dell’Arci Pesca di Siena, realizzata dal Roberto Loro nel 2002, risulta che i pesci del Merse hanno assorbito alcuni dei metalli pesanti presenti nell’acqua). Questo disastro ha richiesto l’intervento sostitutivo del comune di Montieri e della Regione Toscana per il monitoraggio e la depurazione delle acque, al fine di contenere l’inquinamento del fiume e quindi tutelare le caratteristiche naturalistiche della Val di Merse legate alla presenza stessa del fiume, in attesa del progetto definitivo per le opere di bonifica e la messa in sicurezza di tutta l’area.
Questa crisi ambientale del Merse, ma anche molte altre sul nostro territorio, è la conseguenza di un modello di attività economica del passato, ma purtroppo ancora oggi presente, che non ha fatto un uso adeguato delle azioni di bonifica e quindi non ha saputo (né voluto?) contabilizzare i costi differiti nel tempo, che oggi sono a carico della comunità.
In questo contesto, nell’aprile 2001, nacque un movimento di cittadini ed associazioni senesi, denominato Coordinamento Merse, che ha intrapreso varie azioni di protesta e proposte (raccolta firme, marcia per la Merse, fitodepurazione etc.), contribuendo in modo significativo al dibattito di questi ultimi anni; in più il Coordinamento Merse ha promosso varie iniziative di informazione e sensibilizzazione (come l’elaborazione di documenti: "Merse Rosso" e lettere aperte alle amministrazioni pubbliche, ai partiti politici ed ai cittadini) sulle cause e le responsabilità del soggetto che ha causato l’inquinamento, sulla salute del fiume e sui modelli di gestione del territorio della Val di Merse.
Sin dall’inizio, il Coordinamento Merse ha avanzato la proposta di elaborare un progetto di bonifica della miniera di Campiano e del fiume, per il ripristino della salubrità dell’ambiente naturale, sostenendo che lo sviluppo socio-economico della Val di Merse può avvenire solo se vengono rispettate le caratteristiche naturali del territorio.
Emergenza ambientale con la fuoriuscita delle acque (l6 litri al secondo) dalla miniera di Campiano il l9 aprile 2001: quali metodi e strumenti sono stati utilizzati per bonificare le acque che confluiscono nel fiume Merse, provenienti dalla miniera di Campiano, ricche di metalli pesanti (ferro, arsenico, cadmio, piombo etc.)?
Per le ricerche sull’oro le preoccupazioni sono le stesse e gli ambientalisti sono già mobilitati. A salvare un po' la situazione il fatto che quando Adroit è sbarcata in Maremma molti pozzi esistevano già per cui si è iniziato a lavorare su strutture preesistenti. Inoltre le tecniche avanzate di oggi sono meno invasive rispetto a quelle di una volta. "Altre volte si è parlato di oro sulle Colline Metallifere" ha detto Roberto Barocci del coordinamento comitati del Merse. "Però non si è mai giunti all’estrazione su larga scala. Per i comitati è molto importate che questa vera o presunta "febbre dell’oro" non inneschi un ulteriore ‘scacco ambientale’ alla Maremma".
Negli anni settanta e ottanta del secolo appena passato, quando iniziarono le dismissioni sulle più significative e storiche attività minerarie toscane, si ebbero i primi tentativi di trasformare quelli che per millenni erano stati dei giacimenti minerari in giacimenti culturali e ambientali. Un lento cammino che ha portato alla creazione dei parchi minerari dell'Isola d’Elba, quello archeominerario di San Silvestro, quello di Gavorrano e quello delle Colline Metallifere. L'obiettivo sarebbe quello di creare una rete del turismo minerario regionale, unitamente al parco del Monte Amiata, al museo della geotermia e al parco delle Apuane.
Intanto in Canada è diffuso un cauto ottimismo: su internet i vertici della società Adroit che opera in Maremma chiamano la loro trasferta "la campagna toscana per l’oro". Sul territorio c’è chi drizza le orecchie per capire meglio le intenzioni dello "straniero". Il timore che si scateni una corsa all’oro in Maremma con uno scellerato sfruttamento ambientale e una conseguente speculazione economica è elevato e questa eventualità non garba affatto agli abitanti della zona.

                                                                                                     F.Boschi

 

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